lunedì 14 aprile 2014

Da Pierén, dal 1873 trattoria in Concorezzo

Da Pierén o "Della Campagna": dal 1873. Fra le più antiche trattorie della Lombardia. (da Concorezzo Notizie, aprile 2014. Di Fabio Ghezzi)


C'era una volta l'osteria l'Uston, la Trani o di Santa Marta, antichi nomi che sopravvivono solo nella memoria dei più vecchi. Ma nella Cuncuréss di un tempo, prima ancora che queste osterie vedessero la luce, ce n'era una che rimane al suo posto ancora oggi: la trattoria ''della Campagna'', diffusamente conosciuta come da Pierèn o Pierino. Antonio e Mino, pronipoti del fondatore, la gestiscono da più di quarant'anni.

«L'osteria fu fondata da nostro bisnonno Gerolamo Brambilla, classe 1845. L'atto notarile della compravendita, certificato in comune, è del 1895. Mio nonno Pietro, a memoria, dava però per sicura la presenza di Gerolamo qui già dal 1887, ma l'attività precedente risale addirittura al '73. A Gerolamo, morto nel 1925, sono succeduti nonno Angelo, papà Pietro (Pierén) e, a partire dagli anni '60, noi due.»

«Per anni la trattoria è stata gestita da nonna Mariétt (moglie di Angelo), che dopo la scomparsa del nonno nel '38 ha portato avanti l'attività da sola. Fino a qualche anno fa gli anziani ci indicavano appunto con da Mariètt, prima amò l'era da Gerolam, infine è diventato da Pierén. Il nome ufficiale invece è rimasto sempre ''della Campagna'', perché qui finiva il centro storico e iniziavano i campi.»


Un'attività quindi ininterrotta da circa 130 anni?

«Sì, non abbiamo mai chiuso, neanche in periodo di guerra, nonostante in quel periodo nonno Angelo dovette fare qualche peripezia... Come tutti d'altronde! Si insaccava il maiale di nascosto, dai contadini, e li si chiudeva a stagionare in cantina. In caso d'ispezione, per evitare guai, bisogna regalare qualche salame... Oppure il riso, che si andava a comprare de sfroos dopo Paullo.»


Il lavoro come è cambiato?

«Prima l'era un lauràsc! Fino la seconda guerra eravamo principalmente un'osteria con mescita di vino. Si compravano le botti per cavare damigiane e bottiglie. La gente di campagna la vegniva a l'usteria per giugà aj cart e bev un quej bicé, si mangiava la domenica e durante le festività religiose. La trasformazione s'è avuta dopo la guerra, col boom economico, quando s'era aperti 7 giorni su 7 da mattina a sera. Si iniziava con la colazione prima del cantiere, poi il doppio turno a pranzo, coi manovali dell'edilizia dalle 12.10 fin l'una, e coi dipendenti degli uffici dopo. Le colazioni si sono ridotte con lo sviluppo urbanistico, le strade di passaggio si sono spostate sull'esterno. Ma il lavoro è crollato drasticamente solo negli ultimi 6-7 anni, a causa della crisi. I manovali adesso optano per pranzi economicissimi, tanti addirittura mangiano in cantiere.»


Anche la cucina è rimasta fedele alla conduzione?

«Certo, non abbiamo bisogno di menù, i nostri clienti ci conoscono da una vita! Siamo rimasti una trattoria decisamente classica, coi piatti della tradizione brianzola rivisti e corretti per i tempi correnti. Una cucina dal carattere invernale, fatta di pietanze corpose; di estivo, pusee de pulenta e lacc, el ghe no! Dalla cassoeula, alla trippa, al rognone, sono tutte portate che derivano da una cucina povera, di secondo taglio, alla portata delle tasche vuote d'una volta.»


Cosa proponete?

«Oltre i primi canonici, arrabbiata, casonsej, tagliatelle, tutte le sere abbiamo almeno 4-5 arrosti al forno, e chi chiama in anticipo chiede i piatti più elaborati, come cassoeula e brasato, bolliti e oss büss. Nella carne manteniamo tagli particolari: nel vitello il reale e la punta, nel manzo il guanciale e 'l capel da pret, nel maiale stinco e cosciotto, oltre l'agnello. Nel periodo invernale spesso il giovedì femm trippa e salame cotto, come da tradizione.»


Come sono mutati i gusti?

«Se i piatti sono gli stessi, si è raffinata la preparazione. La casöla ora tendo a farla più magra; musi, piedini, cotenna li cuocio a parte in modo che il grasso sia meno importante. Io credo che quando i piatti sono di derivazione popolare, è normale che ognuno le faccia a modo suo. A mi me fann rid quand che dìsen: sa fa inscì! La cassouela nasce come piatto poverissimo; chi aveva la fortuna di avere il maiale in cascina, lo ammazzava a novembre. E in quel periodo, a parte la scigula a stagionare nelle casse, da queste parti a gh'eren in gir dumé i verz! Così con le verze e tutti gli scarti che non si usavano per gli insaccati, orecchio, oss, müsett, pesciö, e qualche cotenna che non andava nei vaniglia... sa trava tusscòss insema, e pö sa meteva dénter un salamin!»


Si può dire che almeno una volta da questo ingresso siano passati tutti quanti i concorezzesi...

«Mi piace ricordare Don Enrico. Veniva spesso a chiacchierare con mamma e papà. Chiedeva sempre un ''bel caffè napoletano'', perché era tifoso del Napoli, l'unico al mondo! Lo era diventato perché amico del portiere Bugatti. Qui invece aveva trovato un amico in mio papà, con cui si intratteneva per ore a parlare dei vecchi tempi del paese. Ricordo bene la orazione funebre, quando s'è staccato dalla figura del cüraa, e ha fatto un discorso come se stesse parlando con un amico: ''Cià Pierèn, parlum dumé mi e tì del temp ch'em passaa insèma. Fa nient se ghe 'scultum i oltar. Te see' staa 'l primm, quand che sun rivaa a Cuncuréss, a fam sentij vün del paés.'' Don Enrico era una persona molto profonda: persino quando ormai faticava a camminare, passava nei momenti di pausa e bevevamo un caffè. Anche se non la pensavamo sempre uguale, dialogare con lui era sempre un piacere.»


Copyrights: Fabio Ghezzi, www.fabioghezzi.com
Pubblicato su: Concorezzo  Notizie, aprile 2014

Articolo originale: fabioghezzi.com
Screenshots:Flickr | Mirror