domenica 21 dicembre 2014

Il numero magico? Il dieci. Recensione sul SOLE 24 ORE de 'da Antognoni a Zico'' con Lothar di Fabio Ghezzi



Breve recensione del libro "Da Antognoni a Zico", contenente il racconto "Lothar" dello scrittore Fabio Ghezzi.

Il 10 non è un numero, è tanti aggettivi: geniale, artistico, solista, magico, funambolico, sognatore. Soprattutto se si parla di calcio e calciatori. Per questo la casa editrice Giulio Perrone ha pubblicato Da Antognoni a Zico: i più grandi numero 10 della storia del calcio.
A raccontare atleti entrati nella storia e nell'immaginario ha chiamato una quarantina di giovani scrittori (e già questo, nell'editoria italiana, è un atto di coraggio) e ha raccolto, con la cura di Alessio Dimartino, sogni di parole. Ci sono numeri 10 sulla maglia, nell'anima, nella storia e quelli che, non si sa perché, sulla maglia hanno avuto il 7. Una galleria di personaggi e attimi: i racconti sono quasi filmati, come quello su Platini, Roi Michel che ha fatto vincere tutto alla Juve, pure il campionato dell'irriverenza e della non banalità. Un filmato di 51 secondi. La partita è Juventus-Argentinos Juniors del 1985, finale della Coppa Intercontinentale. Al 70' sull'1-1, Platini stoppa e, senza far toccare terra al pallone, fa partire un sinistro al volo. Un capolavoro, ma in fuorigioco. I compagni con le mani nei capelli, lui, le Roi, svenevole al suolo, sembra una Paolina Borghese, e sorride. Di campioni così il calcio ne ha tanti: Messi, Baggio, Best, Cantona, Pelè, Maradona, Giggs, Romario, Zico, ma anche Di Stefano, Eusebio, Sívori.
Il libro è una galleria d'arte, di artisti e di illusioni. Come quelle di Messi che, pallone al piede, vince le leggi della fisica e della gravità, come quelle di Roby Baggio, che con la sfera dipinge sui prati verdi magiche luccicanze. È una raccolta di foto immortali, di figurine senza tempo, un buon libro per storie più o meno lontane.
Come capita nel racconto su Sandro Mazzola, un film lungo una carriera dal primo gol in nerazzurro a Torino, sotto la curva Maratona dove segnò anche papà Valentino, scomparso a Superga, fino alla finale Brasile-Italia di Messico70, sempre nel nome del padre. Come nelle righe su Eusebio, la perla del Mozambico che umilia Pelè al Mondiale del 1966 e che, come tanti migranti in fuga oggi, lascia l'Africa verso un mondo migliore e sogna per una vita l'incubo e le lacrime del distacco. Campioni sì, ma uomini come tutti con quella vena di genio che li rende immortali, con quella capacità di aggrapparsi ai sogni e farli diventare reali per tutti noi, che invece siamo così piantati a terra. Per questo li amiamo, al di là di ogni bandiera, di ogni fede, di ogni tempo. Perché ci fanno sognare e ci fanno tornare bambini, e la domanda che resta è una e sola una «Ma tu l'hai visto giocare Pelè?». In queste pagine, con una buona dose di poesia, lo si può intravvedere, riga dopo riga, nelle imprese sue e dei suoi fratelli-geni che accendono da sempre gli stadi del mondo e la bellezza.

Fonte e copy: fabioghezzi.com (consultato 22 dicembre 2014)

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